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“Negli ultimi anni in Italia e più in generale in Europa si è assistito ad un proliferare di iniziative dal basso che si descrivono e vengono descritte come motori di rigenerazione urbana. Esperienze di auto-organizzazione, forme di impresa sociale, professionalità non ancora “codificate” e competenze variegate che si mettono in gioco come agenti di sviluppo territoriale.
In questa circostanza, mi soffermerò in particolare sulla relazione tra ”pratiche dal basso” e istituzioni.
La letteratura sull’innovazione sociale che trovo più interessante sostiene che tali spinte siano innovative se dirette a modificare sia l’agire dei soggetti che si muovono dal basso sia delle Istituzioni.
Il rapporto di mutuo apprendimento tra “basso” e “alto” può infatti da un lato riconoscere l’emergere di nuovi atteggiamenti istituzionali, formali e informali, dall’altro generare processi di “upscaling”, per ampliare progressivamente le richieste e i riconoscimenti.
In assenza di tale rapporto, non per forza pacificato, con le Istituzioni a mio parere tali pratiche dal basso rischiano di mancare di sostenibilità e di peccare di “privatismo”.
Alcune città, dopo l’esempio di Bologna, hanno approvato il “Regolamento per la gestione dei beni comuni”, patti di collaborazione che regolano gli interventi di cura occasionale da parte dei cittadini, di gestione condivisa di spazi pubblici o di spazi privati ad uso pubblico, interventi di rigenerazione di spazi collettivi.
Possono questi momenti di produzione normativa essere momenti di apprendimento collettivo?
Ovvero, hanno invece l’effetto di delegare all’ambito privatistico la risoluzione di problemi sociali complessi che necessiterebbero invece di un nuovo sistema di welfare?
Uscendo dal contesto nazionale, nella nuova programmazione Europea 2014-2020 si assiste in generale ad un rafforzamento dell’approccio “place-based” e di sviluppo urbano integrato che chiede di agire simultaneamente in settori di intervento trasversali (ad esempio: capitale umano, inclusione sociale, innovazione, politiche energetiche, ambiente e smart building).
La città, affrontata e letta secondo un approccio integrato, ha un ruolo centrale nella nuova “Politica di Coesione”, basta pensare che le città italiane potranno accedere, tra il 2014 e il 2020, a fondi europei per la rigenerazione urbana per almeno 1 miliardo di Euro, cui si andrà ad aggiungere una quota di cofinanziamento nazionale.
Deve quindi essere posta una rinnovata attenzione al tema della rigenerazione urbana, ma in un contesto sociale di profondo cambiamento e all’interno di una mappa degli attori che si delinea sempre più complessa, senza far mancare quel citato e necessario “rapporto di mutuo apprendistato tra “basso” e “alto” e senza disconoscere quali ulteriori competenze devono essere mobilitate affinché si attivino quei motori di sviluppo territoriale sostenibile richiesti e riconosciuti come indispensabili per un approccio integrato.
La domanda dirimente quindi è: “come favorire la coesione sociale di territori in crisi senza generare fenomeni di esclusione, come sta accadendo a L’Aquila dove tutti i processi, sempre e comunque, pare siano totalmente calati dall’alto ed eterodiretti, nella totale incapacità di partecipazione delle componenti che, dal “basso”, dovrebbero implementare quelle forme di “negoziazione politica riguardanti risorse, governance e obiettivi”?
La risposta non è semplice, non è immediata e non è ascrivibile alla sola resistenza al cambiamento delle strutture di governance consolidate, peraltro prevista e prevedibile; probabilmente va ricercata nel background culturale del nostro contesto socio – ambientale.”